fukuoka“Lo scopo vero dell’agricoltura non è quello di far crescere i raccolti, ma è la coltivazione e il perfezionamento degli esseri umani”

Questo sosteneva il microbiologo giapponese Masanobu Fukuoka (1913-2008), autore di libri come “La rivoluzione del filo di paglia” e pioniere dagli anni ‘40 della cosiddetta “agricoltura naturale “ o del “Non fare”.

L’agricoltura  del “Non fare”personalmente io non l’ho mai applicata, tanto più che questa tecnica colturale eliminerebbe  la gran parte degli interventi di giardinaggioorticoltura che sono alla base della mia professione; tuttavia la lettura di questo libro, seguita dagli spunti di altri testi più inerenti la permacoltura o l’orto sinergico, mi hanno profondamente affascinato e sicuramente fatto meditare su alcuni aspetti dell’impatto di noi umani sull’equilibrio del territorio.

 

Il cuore filosofico del metodo di Fukuoka – definito da lui stesso come  “Agricoltura del Mu”  (quest’ultimo traducibile con il termine “nessuno” o “privo di” ) – è ispirato agli insegnamenti del buddismo zen. Poiché nell’universo e in natura processi e cambiamenti avvengono spontaneamente, autoregolandosi, il miglior modo di curare un orto o un giardino è per forza di cose quello del “Non fare”. E l’agricoltura del “Non fare” è quella che nutre sia il corpo che l’anima, finalizzata a coltivare la ricerca interiore più dei raccolti, in armonia con i cicli naturali.

Questa tecnica dalla forte dimensione meditativa tenta di riprodurre il più possibile le condizioni naturali, minimizzando gli interventi dell’uomo sull’ambiente, nel segno del “rispetto” e in contrasto con i sistemi agricoli tradizionali e le loro logiche “industriali” (per non parlare del contrasto con gli interessi delle multinazionali dei prodotti chimici agrari).

I principi fondamentali

Che si tratti di folkroristiche teorie o di metodi sapienti per sviluppare colture sostenibili, Fukuoka in anni di ricerca e tentativi coronati di successi ha basato la sua dottrina su questi pochi principi fondamentali:

  1.  Non arare – La terra viene già lavorata in modo spontaneo dai movimenti delle radici e dall’attività dei piccoli animali del sottosuolo e dei microrganismi. L’ aratura è controproducente anche perché alla lunga compatta il suolo, lo indurisce e ne diminuisce la permeabilità.
    2. Non concimare – la terra attraverso processi chimici e materiali in decomposizione alimenta la propria fertilità rinnovandosi.
    3. Non usare fertilizzanti e pesticidi – Non turbare l’equilibrio perfetto della natura, nemmeno usando metodi fertilizzanti “naturali” di derivazione animale (guano) o vegetale (coltura di leguminose per l’azoto), che potrebbero innalzare troppo la concentrazione di ammonio, trasformandolo in nitrati solubili, dannosi per la salute del suolo.
    4. Non sarchiare –Le erbe infestanti non vanno eliminate con diserbanti  ma controllate dall’ecosistema.
    5. Non potare – È sufficiente una sola potatura per non poterne fare più a meno.

Questo approccio quasi olistico di coltivazione su piccola scala è adatto a piccoli possedimenti; prescrive al coltivatore un carico di lavoro ben diverso da quello tradizionale (anche dell’80% in meno, ma che esige abilità, attenzione e alte competenze) e gli permette di piantare, irrigarepacciamareraccogliere i frutti della terra, purché vengano lasciati sul campo tutti gli scarti e la parte aerea delle piante annuali.

I metodi di coltivazione tradizionale invece isolano le piante in regolari monocolture a filari, lavorano il terreno e utilizzano fertilizzanti, diserbanti e pesticidi, che impoveriscono di nutrienti le piante e i frutti immettendo sostanze tossiche nell’ambiente e nella catena alimentare.

Perchè è importante NON arare

Arando il terreno ne danneggiamo i cicli biologici e nutritivi: con l’ingresso di una eccessiva quantità di ossigeno nel sottosuolo, provochiamo infatti la distruzione della maggioranza dei microorganismi anaerobici che fissano l’azoto, i quali ricoprono un ruolo di primo piano nel controllo biologico delle patologie delle piante e nel loro approvvigionamento di nutrimenti essenziali. E la conseguenza immediata e obbligata consisterebbe nell’uso di fertilizzanti e di pesticidi per compensare le nuove carenze, innescando una catena senza fine.

Diversamente dalle usuali coltivazioni agricole, in un orto di questo tipo le piante stagionali coabitano con quelle perenni e la stessa verdura è presente contemporaneamente nei diversi stadi del suo ciclo vitale, compreso quello della decomposizione.

Gli epigoni di Fukuoka

A partire dal lavoro di Fukuoka e dalla sua filosofia del “Non fare”, negli anni ’80, la spagnola Emilia Hazelip ha sviluppato per gli orti l’agricoltura sinergica. Un metodo più adatto al clima mediterraneo (come più adatto alle nostre latitudini è quello del francese Marc Bonfils, per la coltivazione dei cereali) che s’inserisce nel filone della permacoltura.

Gli studi di Bonfils permettono al suolo coltivato di preservarsi selvaggio, fertile e sano, attraverso un accurato lavoro di pianificazione. Il sistema Fukuoka, infatti, non può essere applicato con identiche modalità in tutto il mondo: deve, invece, potersi adattare alle peculiari condizioni naturali e dei diversi appezzamenti di terreno.

La semina

Al momento della semina i semi non vengono interrati ma sparsi sulla terra, dopo averli inseriti se necessario in palline di argilla. O meglio, le palline essiccate di fibra d’argilla (o di cocco, che trattiene l’acqua) e il fango setacciato melmoso, proteggono e contengono semi diversi, di frutta, ortaggi, cereali,  alberi, piante da sottobosco e da sovescio, alcuni dei quali saranno selezionati dalla natura per la germinazione.

Dopo molte sperimentazioni in tutto il mondo, oggi si preferisce utilizzare semi di grandi dimensioni, in sfere più grosse delle iniziali palline, che vanno sparse, “lanciate” sul terreno, possibilmente nel  mese di settembre.

Subito dopo bisogna falciare l’erba, e spesso si attendono anni per vedere i risultati di questa tecnica, adatta pare per ripopolare persino zone aride e semi-desertiche, o distrutte dagli incendi.

Abolendo le arature  e seminando una grande varietà di piante, anche negli orti e nei frutteti, la fertilità della terra aumenterà di stagione in stagione arrivando anche a due raccolti nello stesso anno.

 

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