Chi ha una certa familiarità con le dolci colline della nostra Toscana sa quanto il cipresso sia un elemento importante e riconoscibile nella composizione del paesaggio locale: la sua chioma affusolata e sempreverde è come una sentinella che in file ordinate ci accompagna lungo il viale sterrato d’ingresso alla casa padronale, segna gli angoli dei confini di giardini o di piccole e grandi proprietà, presidia i crocicchi delle strade di campagna e infine fa da ombra alla quiete di cimiteri agresti e cittadini, come presenza simbolica da secoli associata alla vita eterna oltre la morte.

Il Cupressus sempervirens L. o cipresso nero è una conifera di origini orientali appartenente alla famiglia delle Cupressaceae, presente nelle zone più temperate e un po’ in tutti i continenti: dal Nord America all’Asia, dall’Europa mediterranea all’Africa settentrionale, troviamo numerose altre varietà di questi alberi dalla chioma allungata come una lancia, estremamente compatta e di un bel verde scuro (in alcuni casi virante all’azzurrato), composta di foglioline simili a squame allargate e di piccole pigne tondeggianti (galbule), della forma di capsule e di piccoli sonagli.

Si tratta di alberi longevi che possono superare facilmente i 500 anni: pare che nel mondo ne esistano esemplari millenari, soprattutto tra i Cupressus duprezania che in Nord Africa possono raggiungere i 4.000 anni.

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Cipresso iraniano di 4000 anni – photocredit: di TruthBeethoven da wikimedia

La crescita del cipresso è infatti generalmente lenta ed esso viene coltivato sia per antica tradizione sia per la qualità del legno, in filari o in boschetti, che in Italia (dove è stato importato dalla Persia dalle antiche popolazioni fenicie ed etrusche), sono ubicati per la maggior parte nelle provincie di Firenze e Siena.

Il suo legno è ancora oggi ricercato per durezza, durevolezza e resistenza all’umido e alle intemperie per la costruzione di infissi e di soffitti, di parti navali e di mobili artigianali, per i quali spesso è preferito per il fatto che emana un profumo quasi di canfora che tiene lontane tarme e parassiti.

Gli stessi olii aromatici (canfene, pinene, cupressene) che ne impregnano la corteccia pregiata sono concentrati principalmente nelle galbule e, assieme a polifenoli e tannini, fanno del cipresso una pianta medicamentosa, conosciuta e usata sin dall’epoca assira principalmente per la cura dei problemi di circolazione venosa e come balsamico per l’apparato respiratorio, per inalazioni contro la tosse spasmodica.

In passato l’essenza veniva utilizzata anche per l’arredo di luoghi mistici o in occasioni rituali ben definite, per motivi che andavano ben oltre la sua durabilità e sconfinavano nella dimensione simbolica di immortalità di questo albero sacro, legato nei secoli tanto alla vita quanto alla morte: così arredi, portali, statue nei templi erano in cipresso, come anche i sarcofaghi e alcuni strumenti musicali.

Della sua aura mistica e simbolica ereditata da tradizioni pagane e religiose sono costellate la mitologia e la storia dell’uomo: le citazioni partono dall’Antico Testamento (l’Arca di Noè era in legno di cipresso) e arrivano in tempi più recenti con I Sepolcri del Foscolo e i cipressi della Toscana di Bolgheri cantati dal Carducci. La flotta di Alessandro Magno era in cipresso, come lo erano nel mito lo scettro di Zeus e l’arco di Eros; da una parte associato alla vita per via della forma slanciata della chioma, simile a fiamma viva; dall’altro associato alla fertilità per la sua foggia fallica – tanto da venire piantato in occasione della nascita di una figlia femmina –l’albero presso i Romani era uno dei regali destinati agli sposi novelli.

Dagli antichi Greci veniva associato ad Apollo e Artemide ed era considerato l’albero sacro di Ade, divinità dei morti. Anche poeti della Roma antica come Catullo, Ovidio e Virgilio ne cantarono i legami con la morte e la realtà ultraterrena; mentre nella tradizione cattolica il cipresso è stato spesso associato all’immagine della Chiesa e della Madonna, forse per la sua caratteristica di protendersi verso il cielo, ed è stato legato alla figura di San Francesco nella fondazione di due conventi (Santa Croce e Villa Verrucchio), avvenuta a seguito di eventi miracolosi che videro questa pianta come protagonista.

Così, sempre parlando di simboli religiosi, alberi e conventi anche al di fuori della Toscana, è noto come i monaci medievali erano soliti piantare al centro del chiostro un cipresso (o un’altra Cupressacea, il cedro) come allusione al biblico Albero della Vita custodito al centro di Gerusalemme.

 

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