giardinieri e paesaggisti: l’eclettico genio di gilles clément
Avrete sicuramente sentito parlare del paesaggista filosofo contemporaneo francese, Gilles Clément (1943): un vero eclettico, giardiniere esploratore, ingegnere agronomo, progettista di famosi parchi e giardini, uomo di scienza, scrittore e divulgatore tra i più seguiti in Europa.
Docente all’École Nationale Supérieure du Paysage di Versailles, è conosciuto come teorico del Giardino in Movimento, del Giardino Planetario e per il dirompente Manifesto del Terzo Paesaggio (Jardin en Mouvement, Jardin Planetaire, Tiers Paysage): tre concetti di grande sostanza filosofica e politica, ritenuti fondamentali per il rinnovamento della cultura internazionale di progetto del paesaggio, sviluppati dalla sperimentazione e dai viaggi attraverso gli scritti e applicati nella realizzazione di parchi e giardini.
Le sue opere
Dopo un decennio trascorso tra la progettazione di piccoli giardini per privati, le docenze, i viaggi dedicati allo studio e alla scoperta di flora e fauna dei diversi bioclimi, nel 1984 fonda a Parigi l’Atelier Acanthe, iniziando a lavorare a progetti di riqualificazione urbana e recupero di giardini storici per la committenza pubblica.
È di questo periodo il parco André Citroën a Parigi (13 ettari recuperati sulle rive della Senna progettando in collaborazione con Patrick Berger, Jean Paul Viguier, Alain Provost e Jean François Jodry) che è la prima realizzazione pubblica di un Jardin en Mouvement.
A partire da questo progetto, con la realizzazione dei giardini de La Défense, del giardino del Musée du Quai Branly di Jean Nouvel, del parco Matisse a Lilla, dell’esposizione Le Jardin Planétaire a la Villette, e la pubblicazione di vari saggi e romanzi tra i quali “Thomas et le voyageur” (1997), “Le jardin planétaire” (1999), “La Sagesse du jardinier” (2004) e “Manifeste pour le Tiers-paysage” (2005), Gilles Clément diviene celebre anche presso il grande pubblico.
“Faire le plus possibile avec, et le moins possibile contre”: Fare quanto più “con” e quanto meno possibile “contro”, è il suo motto
Clément sostiene la necessità di un nuovo rapporto ecologico di scambio tra giardino e natura, in un ambiente sempre meno antropocentrico, dove sia possibile armonizzarsi con le forme di vita in evoluzione piuttosto che combatterle.
In saggi e romanzi si rivolge a quelli che sono i maggiori interlocutori del paesaggio: parla alla variegata platea di giardinieri, cultori del giardinaggio, appassionati lettori di libri sui giardini dalla quale, rileva, sono state escluse ingiustamente le specie animali e vegetali in movimento, che invece di essere coinvolte in un ambiente naturalmente collaborativo, risultano spesso oggetto di una vera e propria “guerra del giardiniere”.
L’incolto addomesticato
Nei giardini di Gilles Clément la natura prospera senza apparente costrizione e ammaestramento, mentre non vengono utilizzate sostanze chimiche per i più comuni trattamenti ma solo agenti naturali, che interagendo gli uni con gli altri si equilibrano a vicenda; l’eliminazione di animali o piante nocivi qui è bandita. Clément supera il giardino formale con l’ “incolto addomesticato”, mentre considera il riciclo indispensabile come fonte di nuova energia per sopravvivere in un luogo finito, dove ancora “I veli oscuri dell’estetica e della morale si sono abbattuti sulla spazzatura e il compost è stato relegato in fondo al giardino, mentre dovrebbe trovarsi al centro” (cit.)
Egli vede la figura del giardiniere inconciliabile con quella del progettista designer, troppo legato ai vincoli estetici dell’”arte dei giardini” (figlia ideologica del potere) colpevole di introdurre nel paesaggio elementi decorativi contrari alla naturale evoluzione della natura. Una nuova estetica “di resistenza” dovrebbe basarsi sulle indicazioni degli scienziati, più che su quelle degli artisti.
Il giardino non può essere disegnato sulla carta, perché non è un insieme di oggetti ma di esseri viventi, una realtà dinamica in movimento. Per questo Clément lavora con uomini di scienza, insegnanti e filosofi, i soli in grado di divulgare il sapere e di avvicinarci alla vera conoscenza delle leggi della natura.
Il giardiniere deve sapersi inserire in punta di piedi nella rete di relazioni e scambi tra esseri viventi, animali e piante, dalle radici alle foglie; deve saper osservare i meccanismi adattivi già presenti in natura, in giro per il mondo (per questo è giardiniere esploratore) e ispirarsi ai migliori di essi. Deve «Fare quanto più con, e quanto possibile meno contro le energie in gioco in un luogo determinato».
Giardino in Movimento, Giardino Planetario, Terzo Paesaggio e biodiversità
Parc Citroen
La sua idea parte dalla consapevolezza della finitezza di una Terra dalle risorse limitate, dove “La Natura, imbrigliata nel reticolato ideologico proprio di ogni cultura, paga un tributo tanto più pesante quanto più il sistema culturale fa dell’uomo il padrone del Cosmo” (cit.). Il giardinaggio come espressione di diversità culturale può quindi minacciare o proteggere la biodiversità, a seconda di come viene sviluppato: il pianeta è come un grande giardino finito e l’uomo che non cambia approccio, esaurendo le risorse ambientali in cui è immerso nella biosfera, contribuisce progressivamente alla propria distruzione. Dopo l’esperienza del Giardino in Movimento, il luogo in cui l’uomo e la natura collaborano per tutelare la diversità biologica, il Giardino Planetario è la soluzione che “valorizza la diversità senza distruggerla”: è l’idea che rappresenta “un progetto politico d’ecologia umanistica”.
Con il Manifesto del Terzo Paesaggio Clément chiude il cerchio: ispirandosi alla “friche” il campo lasciato a maggese, ci parla di territori urbani incolti e sottratti all’intervento umano, di interstizi vitali, di grandi e piccoli spazi verdi spontanei, come vere riserve di biodiversità. Come il rifugio in cui le specie, non più incatenate all’utilizzo programmatico e agli strumenti di controllo umani, sono libere di crescere e di diffondersi.
Il Terzo Paesaggio ha un valore politico perché comprende spazi urbani e agricoli abbandonati, che non esprimono sottomissione al potere dominante. Terzo Paesaggio come trasposizione ecologica del Terzo Stato di Seyès (1798): “Cos’è il Terzo stato? Tutto. Cos’ha fatto finora? Niente. Cosa aspira a diventare? Qualcosa“.