Giardini romani: come saper unire il gusto del bello al senso pratico
Per parlare dei giardini romani si passa prima attraverso le civiltà che sorsero nell’area mesopotamica e delle aree limitrofe.
Abbiamo già parlato dei giardini di Babilonia, ma ci sono anche quelli egiziani sviluppatisi lungo le rive del Nilo tra il 3.500 a.C. e il 500 d.C. Giardini in cui viene rispecchiata l’alta tecnica idraulica e le grandi abilità agricole e costruttive egiziane, con disegno del giardino sempre molto regolare, rigido nella simmetria e spazi perfettamente suddivisi da percorsi geometrici e lineari.
Si passa poi ai giardini greci: in questo caso il “giardino” non assume una vera e propria forma d’arte, cosa che veniva estremizzata nelle altre civiltà soprattutto per il contesto privato. Viene invece valorizzato il giardino annesso agli edifici pubblici, templi, palestre, ginnasi, con gli spazi concepiti come luoghi per passeggiate, conversari, riposo e caratterizzati da grande semplicità, alberi organizzati in gruppi e disposti in modo naturale a ricreare aree d’ombra, aiuole fiorite (i Greci, furono grandi amanti delle rose) e qualche bacino d’acqua e fontane.
I giardini romani
Inizialmente ebbero uno scopo esclusivamente utilitaristico dislocati in prossimità della casa, circoscritti da mura e destinati unicamente alla coltivazione di piante alimentari. Questa parte produttiva, “hortus”, venne poi destinata alla coltivazione di fiori.
Il cambiamento si ebbe in seguito alle conquiste in Oriente e sotto il governo Silla (138-78 a.C.): da un modello di casa italica, chiuso ed austero si passa al modello ellenistico, più comodo ed ampio, composto da più atrii, ampio peristilio e giardino.
Possiamo trovarne un esempio ancora intatto nelle case di Pompei ed Ercolano – che ahimè hanno un inestimabile valore e stanno cadendo a pezzi sotto ai nostri occhi e non si fa nulla per preservare questa bellezza in via di estinzione – dove il giardino non è più un elemento accessorio, ma si pone in intimo contatto con l’abitazione diventandone il catalizzatore principale.
Ninfei, fontane, vasche, mosaici, pergolati, tralicci, edicole, siepi in forma, la cosiddetta “arte topiara” di cui furono i precursori con Gaio Malzio nel I secolo a.C.; tutti elementi decorativi che spazzano via ogni traccia dello scopo primario del giardino romano. Un giardino generalmente circondato da un porticato, totalmente o parzialmente, che viene diviso secondo un asse di simmetria in figure geometriche regolari. I viali, rettilinei, sono limitati da siepi di mirto e di rosmarino ed adornati da statue, sedili e vasi.
L’acqua è ovunque presente come elemento fondamentale e compare in canali, bacini, fontane e zampilli accrescendo il senso di serenità e intimità di questi giardini.
Da qui poi i Romani dettero il via a una nuova concezione di giardino: il giardino paesistico che porterà ad un primordiale concetto di parco suburbano, proporzionato al numero di frequentatori.
Da sempre mossi da uno spirito di logica e dal senso di armonia realizzeranno giardini su pendii organizzati in terrazzamenti, collegati da scale e rampe ornate da statue; tagli e sbancamenti aprivano visuali su punti panoramici e sul paesaggio.
I Romani, nella loro concezione di parco e giardino non seguirono mai schemi troppo rigidi, ma seppero unire nel modo più facile la loro vivace sensibilità estetica e l’amore per le bellezze naturali con la loro indole pratica e ordinata. Gene che le nostre generazioni si tramandano nel tempo ma che non sempre riescono ad essere incanalate nel modo più felice ed intelligente.
Perché sprecare questa nostra dote innata?
Fonte: “La scienza del Paesaggio” di Alessandro Chiusoli, CLUEB Bologna 1999
Foto d’intestazione: Florent Pécassou sotto CC BY-SA 3.0